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sabato 29 settembre 2007

Il business dell'acqua


IL BUSINESS DELLE ACQUE MINERALI
ACQUA IN BOTTIGLIA: LISCIA, GASSATA E QUASI GRATIS


Ma com'è possibile che in un paese noto fin dall'antichità per le sue fonti il 98,2 degli abitanti compri l'acqua imbottigliata almeno una volta l'anno? «E' nata prima la domanda o l'offerta?» In realtà il boom della minerale è stato costruito lentamente, a scapito di un sistema pubblico di gestione e di controllo delle acque di tutto rispetto. Prima di tutto sono stati tagliati i fondi destinati alla manutenzione pubblica, poi si è passati all'assalto del fronte mediatico, essenziale per riuscire a convincere gli esquimesi a pagare la neve.

Ci sono voluti vent'anni ma il risultato è eccezionale: più della metà della popolazione italiana non beve l'acqua del rubinetto ed è disposta a riempirsi la casa di bottiglie, che vanno poi a riempire le discariche, pagando la minerale dalle 300 alle 600 volte più di quella dell'acquedotto. Strano perché, in genere, i cittadini sono sensibili al portafoglio. Ma gli spot sono stati così efficaci che ormai niente sembra distoglierli dalla convinzione che l'acqua del rubinetto sia veleno. Non credono agli amministratori né all'Organizzazione mondiale della sanità che, in un rapporto del '99, non si capacitava del fatto che «benché l'acqua sia disponibile e di buona qualità (...) solo il 47 per cento delle famiglie italiane intervistate dichiara di bere l'acqua del rubinetto».

La legislazione italiana ha parametri molto restrittivi per l'acqua di rubinetto (circa 200) e più generosi (solo 48) per l'acqua minerale (vedi tabelle). Dunque l'acqua di casa è più sicura. E più trasparente: sulle etichette non c'è traccia delle 19 sostanze che dovrebbero essere controllate molto attentamente, come arsenico, cadmio, nichel, cromo trivalente e nitrati. Quanto ai nitrati, la legge dice che per i neonati l'acqua non può contenere una concentrazione di nitrati superiore a 50 mg/l, ma dice anche che se ne contiene fino a 10 mg/l il produttore può spacciarla come «particolarmente adatta per la prima infanzia». Significa solo che è inquinata, ma meno delle altre.
Eppure gli italiani vantano il primato mondiale dei consumi di acqua minerale: 182 litri all'anno a testa (260 euro di spesa per famiglia). Complessivamente sono più di 11 miliardi di litri (con un’impennata dell’8,2% sul 2002) prelevati quasi gratuitamente da 180 fonti pubbliche e imbottigliati a prezzi esorbitanti con oltre 280 marche: un metro cubo di acqua potabile costa 43 centesimi di euro, un metro cubo di minerale tra 300 e 500 euro.
Il 70 per cento del mercato è in mano a poche multinazionali: Nestlè (26% con Pejo, Lievissima, San Pellegrino, Panna, Recoaro,..), Danone (9% con Ferrarelle, Vitasnella, Sant’Agata,..), San Benedetto (19% con Guizza, Nepi, San Benedetto,..) e Co.ge.di (8% con Uliveto e Rocchetta).
I costi di produzione sono minimi perché lo sfruttamento delle fonti demaniali avviene con il sistema delle concessioni pubbliche da cui lo Stato, in base ad un decreto regio del 1927, ricava pochi spiccioli. Quel che è più grave è che oltre l'80 per cento delle acque minerali è imbottigliato in contenitori di plastica e i costi dello smaltimento ricadono sulle Regioni e sui Comuni, che in definitiva spendono più di quanto incassano. A conti fatti, le imprese delle acque minerali pagano la materia prima meno della colla per l'etichetta.
Le carte della Regione Lombardia, la regione con più fonti, parlano chiaro: fino al 2003 le industrie pagavano l'acqua appena 0,003 lire al litro, cento volte meno di quello che un normale cittadino paga l'acqua del rubinetto. Il quadro normativo dice che le risorse idrominerali sono un bene pubblico, fanno parte del patrimonio indisponibile della regione e il loro uso deve essere improntato all'interesse pubblico. E allora non si capisce come sia possibile che in calce alle concessioni «regalate» ad alcune famose minerali figuri la scritta perpetua: significa che alcune multinazionali possono accumulare miliardi vendendo l'acqua di tutti, per sempre, come la San Pellegrino (Nestlé), una delle acque più famose nel mondo, che fino al 2002 pagava 5 milioni e 270 mila lire all'anno per la concessione; e fanno quasi impressione i 33 milioni e 464.500 lire all'anno sborsati per imbottigliare la Levissima (ancora Nestlé). In Lombardia qualcosa di buono è stato fatto infatti oltre al tradizionale canone stabilito sulla base dell'estensione dell'area di concessione è stato imposto un importo proporzionale alla quantità di acqua imbottigliata.
Una lira al litro la tassa; fatti i conti, se nel 2001 la Lombardia incassava dalle industrie la miseria di 260 milioni di lire l'anno, da luglio 2003 incassa 1 milione e mezzo di euro. Una miseria comunque. Tanto più che oggi le industrie pagano alla Regione solo l'acqua imbottigliata (3 miliardi di litri) senza sborsare 1 euro per gli altri 7 miliardi sprecati nelle fasi di lavorazione.

Ecco alcuni dati sui canoni regionali per concessioni di acque minerali:
Ogni regione ha una normativa ad hoc per la disciplina del settore delle minerali sul proprio territorio e stabilisce autonomamente le tariffe. L’adeguamento dei canoni sulla base degli indici Istat è adottato ogni biennio o triennio, con provvedimento amministrativo.
Basilicata: 51,60 euro per ettaro in concessione (con un minimo di 5160 euro) più 0,30 euro a mc di acqua imbottigliata
Campania: 32,87 euro per ettaro in concessione
Emilia Romagna: 10,33 euro per ettaro in concessione (con un minimo di 774,69 euro)
Lazio: 61,97 euro per ettaro in concessione (con un minimo di 2.580 euro)
Liguria: 5,01 euro per ettaro in concessione
Lombardia: 25,00 euro per ettaro in concessione più un “diritto proporzionale alla quantità di acqua imbottigliata” di 0,51 euro ogni mc di imbottigliato
Piemonte: 20,65 euro per ettaro in concessione (con un minimo di 2.582,28 euro)
Sardegna: 32,10 euro per ettaro in concessione
Toscana: 63,50 euro per ettaro in concessione (con un minimo di 3.167 euro)
Umbria: 50,00 euro per ettaro in concessione più un diritto annuo commisurato alla quantità di acqua imbottigliata di 0,50 euro ogni mc di imbottigliato

Molto altro resta da fare. Far pagare il prelevato e non solo l'imbottigliato, abrogare le concessioni perpetue, adottare norme antitrust e disincentivare l'utilizzo delle bottiglie di plastica (in Lombardia si vendono 562 milioni 891.000 bottiglie di vetro contro 1 miliardo 936.410 bottiglie di plastica). E' assurdo poi che lo smaltimento di tanta plastica sia a carico della collettività: la Regione Lombardia nel 2001 ha sborsato 50 miliardi di lire per smaltire bottiglie di plastica. Vuol dire che i soldi delle concessioni delle fonti non bastano neppure per pagare un decimo di quanto occorre per liberarsi dei vuoti (5 miliardi di bottiglie ogni anno, che arrivano sui punti vendita con 280 mila viaggi su Tir). E chissà cosa direbbero i consumatori se sapessero che esistono acque così scadenti che ci sono aziende produttrici di plastica che acquistano le fonti solo per vendere le bottiglie.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

You write very well.

Anonimo ha detto...

good start